20/11/09

Chiude l'Alcoa: 2.500 lavoratori per la strada... Così dicono...

Stamattina la decisione ufficiale: Alcoa ha annunciato l'imminente sospensione della produzione a causa della diatriba riguardante il costo dell'energia elettrica.

Nel 1995, quando il gigante dell'alluminio americano, Alcoa appunto, ha deciso di aprire delle sedi in Italia, ha preso degli accordi con l'Enel riguardo al costo contenuto dell'energia elettrica necessaria per la produzione. Questo accordo sarebbe stato convalidato per i successivi 10 anni, i quali avrebbero permesso all'Alcoa di sostenere i costi per la produzione d'alluminio. Nel 2005, allo scadere del contratto, l'Alcoa ha chiesto all'Unione Europea un prezzo agevolato dell'energia elettrica, visto il largo consumo delle fabbriche e il logico vantaggio che l'Europa poteva trarne dall'operaività dell'azienda americana nel suo territorio.
Numerose sono state le richeiste dell'Alcoa a questo proposito, ma queste sono sempre state respinte da Bruxelles.
Dopo numerose richieste fatte anche al Governo Italiano, anche questo si è esposto in favore della riduzione del costo dell'energia a favore dell'Alcoa, ma l'Europa ha contiuato a seguire la sua linea di principio negando ogni genere di agevolazione all'azienda americana.
Per poter mantenere in piedi gli stabilimenti italiani il nostro Governo ha deciso di sostenere i costi dell'energia utilizzata dall'Alcoa, permettendo all'azienda di pagare l'energia allo stesso costo precedentemente accordato, e pagando la differenza coi soldi pubblici.
Dichiarata questa un'operazione illecita dall'Unione Europea, in quanto i soldi dello Stato Italiano non avrebbero dovuti essere spesi per aiutare un'azienda privata, l'Europa ha negato all'Italia di continuare a procedere in tal senso, così che l'Alcoa si è vista costretta a pagare l'intero ammontare dell'energia elettrica, vedendosi privata delle agevolazioni precedentemente ottenute e di cui ha goduto per dieci anni (tramite l'accordo) e altri 4 anni (con l'aiuto dei finanziamenti dello Stato Italiano).
Oggi l'Italia è impossibilitata (sebbene per la Fiat lo faccia da oltre vent'anni, nonostante le dichiarazioni sfavorevoli dell'UE) a continuare a finanziare l'Alcoa, che minaccia l'arresto imminente della produzione e l'eventuale chiusura definitiva degli stabilimenti in Italia nel momento in cui l'Europa non si ritenga disposta a compiere un passo indietro, e concederle l'agevolazione al costo dell'energia.

Questa è, riassunta in brevissimi termini, la vicenda che potrebbe portare alla disperazione migliaia di persone. Quante?
Si parla di 2.500 posti di lavoro, e quindi, ipoteticamente, 2.500 famiglie (sebbene non sia così, in quanto non tutti i lavoratori Alcoa ne possiedono una). Ma nessuno, NESSUNO, parla di coloro che non sono lavoratori Alcoa, ma che si ritroverebbero nella stessa condizione delle persone in questione.

Prendiamo l'esempio più eclatante fra i quattro stabilimenti Alcoa (Portovesme, Fusina, Milano e Modena): quello di Portovesme. Questa è la sede che sta facendo parlare di sé per via del sequestro, da parte di alcuni lavoratori Alcoa, dello stabilimento. Si continua a lavorare e quindi a produrre, ma l'Alcoa, visto che minaccia di cacciarli a breve, a causa di queste persone non potrà far fuoriuscire dal proprio stabilimento alcuna merce.

Noi lavoriamo, voi ci volete licenziare, e allora noi non vi facciamo guadagnare niente dal nostro lavoro.

Questa è la protesta di coloro che hanno proiettato il video su internet. Ma torniamo al nostro discorso.
Fra coloro che si ritroveranno per strada a causa della chiusura dell'Alcoa, ci sono:
1- gli operai delle aziende che producono l'alluminio, il quale non potrà più essere lavorato dall'Alcoa, e conseguentemente non avrà più nessuna utilità;
2- gli operai delle imprese d'appalto, che si prendono cura della manutenzione degli impiati Alcoa;
3- gli operai delle imprese di pulizia, che si occupano della pulizia degli impianti Alcoa;
4- le aziende di trasporti per le merci dirette da e verso gli stabilimenti Alcoa;
5- i lavoratori delle imprese alimentari, che forniscono alimenti e servizi mensa negli stabilimenti Alcoa.
Se ipotizziamo in media un quinto di lavoratori per ognuno di questo settore (calcolando 1.000 persone impegnate nella produzione dell'alluinio, 500 persone nelle imprese d'appalto, 500 nelle imprese di pulizia, e 500 fra addetti mensa, cuochi e addetti al trasporto merci), rispetto al totale dei lavoratori Alcoa, otteniamo altri 2.500 lavoratori privati di un'occupazione. Stiamo parlando, quindi, in maniera del tutto ipotetica - ripeto - di circa 5.000 persone senza un posto di lavoro. Il ché significa che ci saranno 4.000 famiglie senza un reddito.
Facendo un piccolo calcolo appossimativo guidato dalla logica, stiamo parlando di 15.000 persone prive di un reddito, e conseguentemente 15.000 clienti in meno per tutte le aziende di ogni settore esistenti nel territorio circostante. Si pensi a cosa accadrebbe privando i panifici, le edicole, i bar, i tabacchini, i negozi d'abbigliamento, i ristoranti, i supermercati, i centri commerciali di 15.000 clienti.
Le conseguenze economiche sarebbero disastrose per tutto il territorio. Solo le grandi città resisterebbero ad una catastrofe simile. Il crollo di un polo industriale come Portovesme, per esempio, sito in una zona della Sardegna poco abitata, e in cui funge da centro economico e base solida per gran parte delle famiglie del Sulcis Iglesiente (l'area sud-occidentale della Sardegna), porterebbe alla desertificazione dell'intero territorio, e alla costrizione, da parte dei cittadini, a dover emigrare in cerca di una nuova occupazione.
Ma ecco che ci si trova di fronte ad un nuovo problema: quanti, fra coloro che si ritroverebbero costretti a cercare un nuovo lavoro a causa della chiusura (oggi ipotetica, sebbene annunciata) dello stabilimento Alcoa, riuscirebbero a trovare una nuova occupazione in tempi più o meno brevi? Quanti, fra i 5.000 lavoratori privati del proprio stipendio ipotizzati prima, stanno per andare in pensione? Quanti ultra cinquantenni troviamo, fra questi? E - guardando l'altra faccia della medaglia - quante aziende sarebbero disposte ad assumere un lavoratore ultra cinquantenne (o ultra sessantenne, addirittura)?

E' vero; da un punto di vista economico, politico, aziendale, l'Alcoa aveva diritto a certe agevolazioni economiche fino al 2005.
E' vero; da un punto di vista sociale, l'Italia avrebbe dovuto negare il proprio aiuto all'azienda americana fin dal primo istante in cui l'accordo decennale era cessato;
E' vero; da un punto di vista eurpeo, l'Unione ha giustamente dichiarato illegittimo l'aiuto statale italiano rivolto all'azienda privata americana.

Ma se pensiamo agli anni di aiuti, sostenimenti, finanziamenti, agevolazioni date dall'Italia ad imprese come la Fiat, l'Alitalia, la Trenitalia, per poi funzionare nel modo in cui funzionano, allora anche eventuali agevolazioni distribuite agli stabilimenti Alcoa diverrebbero legittimi, se si trattasse di salvare 5.000 lavoratori (con relative famiglie al seguito).

La questione pare sia stata già esaminata in sede governativa, e il Ministro Scajola ha dichiarato che domani stesso ci sarà una riunione con i dirigenti Alcoa per discutere un'eventuale soluzione al problema. Ai Tg nazionali comunque (Tg1 e Tg2) è stato dichiarato che è stato scongiurato il pericolo di una chiusura imminente. Ma ora voglio porre una domanda: il Ministro Scajola, dopo aver promesso di incontrare gli operai Alcoa andati a manifestare a Cagliari e non essersi presentato, che credibilità vuole avere, nei confronti di persone che stanno per perdere il loro posto di lavoro, e che non saprebbero come portare avanti la loro famiglia? Siamo sicuri che non sia l'ennesima farsa del nostro Governo che miri solo ad acquietare gli animi, liberare lo stabilimento Alcoa di Portovesme dai ragazzi disperati che cercano solo di tenersi stretto il loro posto di lavoro?

La questione sarà oggetto di approfondimenti ed aggiornamenti in questo blog, che seguirà tutti i prossimi sviluppi della vicenda in maniera molto attenta.

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