26/11/09

Questione Alcoa: ma non era tutto a posto?

Questa mattina quasi un migliaio tra dipendenti della sede Alcoa di Portovesme e rispettivi delegati sindacali hanno lasciato la Sardegna per dirigersi a Roma, per poter ripetere la manifestazione di una settimana fa, cercando di farsi sentire in maniera più netta e determinante, per far sì che i loro posti di lavoro restino salvi, e che le loro famiglie possano continuare a vivere dignitosamente in una nazione fondata sul lavoro, come la Costituzione Italiana recita ieraticamente.
Chiaro a tutti è il fatto che, se viene organizzata una manifestazione con tanti partecipanti, è perché qualcosa non va.
Eppure per i nostri politici e per i nostri Tg nazionali, tutto è a posto, e ormai da parecchi mesi. Pare quasi che i problemi non siano mai neppure esistiti.
Partiamo dal principio.

1 - L'Alcoa, azienda produttrice di alluminio, apre nel 1995 uno stabilimento a Portovesme, polo industriale nel Sud-Ovest della Sardegna, firmando un contratto con l'Enel per un costo ridotto dell'energia elettrica. Il contratto, valido per dieci anni, avrebbe garantito gli stessi incentivi all'Alcoa dal 2005 in poi grazie ad un accordo preso con lo Stato Italiano. Dal 2005, infatti l'Italia impegnava dei finanziamenti di soldi pubblici per garantire all'Alcoa un ridotto costo dell'energia elettrica. L'UE, nel frattempo, analizza la questione e la minaccia che l'Europa dichiari illegittimi questi finanziamenti di soldi pubblici diretti ad un'azienda privata, si fa sempre più concreta. Delegazioni sindacali ed operaie manifestano a Bruxelles, ma i segnali sono sconfortanti.

Subito dopo il suo insediamento, avvenuto nel Febbraio 2009, il Governatore della Regione Autonoma della Sardegna Ugo Cappellacci, appartenente allo schieramento del PdL, tiene un discorso, a Portovesme, pieno di rassicurazioni, speranze, promesse ed intenzioni di battersi fino alla fine per la causa di questo polo industriale, di modo che tutti i lavoratori possano evitare la cassa integrazione ed il licenziamento, per via della crisi che stavano attraversando le fabbriche in questione. Il Governatore garantisce di preservare tutti i posti di lavoro presenti nel polo industriale di Portovesme.

Dopo centinaia di cassa integrazioni, decine di licenziamenti, e migliaia di posti di lavoro attualmente a rischio, pare evidente che le promesse, ad oggi, non siano state mantenute.

2 - Dopo un periodo di inutili trattative, l'UE ha dichiarato, nei giorni scorsi, che l'Alcoa non avrebbe più potuto godere dei finanziamenti pubblici dello Stato Italiano secondo l'accordo stipulato nel 1995 proprio fra l'azienda statunitense ed il Governo, per cui il costo dell'energia elettrica sarebbe aumentato notevolmente e l'Alcoa avrebbe dovuto sostenere interamente tutte le spese. La questione crea le premesse per l'organizzazione di una manifestazione a Roma da parte di operai e dirigenti Alcoa, che viene regolarmente effettuata il 20 Novembre scorso, e puntualmente deragliata in luoghi poco battuti dalle forze antisommossa, che hanno accolto i manifestanti con caschi, scudi, manganelli e manganellate. Inoltre, da Portovesme, alcuni operai dichiarano su internet di aver preso in ostaggio l'intero stabilimento, e di non essere intenzionati a liberarlo finché l'Alcoa non avrebbe dichiarato ufficialmente di non far cessare la produzione e di preservare tutti i posti di lavoro presenti.

La sera, sia al Tg1 che al Tg2 è stato espresso a chiare lettere che l'Alcoa aveva revocato la sua intenzione di far cessare la produzione, ed ogni minaccia era stata allontanata in seguito alla manifestazione di Roma. o stabilimento è stato liberato dal sequestro effettuato, e gli operai manganellati sono tornati in Sardegna pieni di buone speranze. Il caso, per tutti, da quanto le nostre fonti d'informazione della Tv nazionale ci dicono, è risolto. Ovviamente, se così fosse, questo post non avrebbe ragione di esistere.

3 - L'Alcoa invia una lettera ai suoi fornitori dichiarando la sospensione dei servzi a partire dal 15 dicembre 2009. 800 dipendenti Alcoa verranno messi in cassa integrazione per un anno, e la dichiarazione dei dirigenti Alcoa è stata ufficializzata questa mattina a Roma. Un numeroso gruppo di lavoratori e delegati sindacali sardi sono giunti nella capitale questa mattina (chi in aereo chi in traghetto). Un numero compreso fra le 700 e le 800 persone, per poter manifestare e far sentire la loro voce disperata. Anche oggi i poliziotti li hanno accolti con una buona dose di manganellate, ma stavolta i manifestanti hanno reagito. Il risultato è lo svenimento di un delegato sindacale colpito da un manganello in pieno viso, e dei tafferugli causati dal nuovo indirizzamento da parte delle forze antisommossa in luoghi poco battuti dei manifestanti sardi, i quali questa volta hanno messo in campo il loro diritto di manifestare e hanno sfondato le barriere delle Forze dell'Ordine, provocandone la violenta reazione.

I Tg nazionali e numerose fonti d'informazione hanno dichiarato, nel pomeriggio, che il pericolo della cassa integrazione era stato nuovamente scongiurato dai dirigenti Alcoa.

A questo punto la domanda che sorge in maniera del tutto spontanea è: dobbiamo fidarci dei nostri mezzi d'informazione? Possiamo fidarci dei nostri rappresentanti politici? Oppure è tutto un gioco messo in atto per far tacere le bocche, e rasserenare gli anii, in modo che tutti quanti ci facciano tutto ciò che vogliono senza che nessuno protesti?

Il blog contiuerà ovviamente a seguire la vicenda e i suoi sviluppi futuri, sperando di confermare questa nuova buona notizia (che si ripete per l'ennesima volta) una volta per tutte.

20/11/09

Chiude l'Alcoa: 2.500 lavoratori per la strada... Così dicono...

Stamattina la decisione ufficiale: Alcoa ha annunciato l'imminente sospensione della produzione a causa della diatriba riguardante il costo dell'energia elettrica.

Nel 1995, quando il gigante dell'alluminio americano, Alcoa appunto, ha deciso di aprire delle sedi in Italia, ha preso degli accordi con l'Enel riguardo al costo contenuto dell'energia elettrica necessaria per la produzione. Questo accordo sarebbe stato convalidato per i successivi 10 anni, i quali avrebbero permesso all'Alcoa di sostenere i costi per la produzione d'alluminio. Nel 2005, allo scadere del contratto, l'Alcoa ha chiesto all'Unione Europea un prezzo agevolato dell'energia elettrica, visto il largo consumo delle fabbriche e il logico vantaggio che l'Europa poteva trarne dall'operaività dell'azienda americana nel suo territorio.
Numerose sono state le richeiste dell'Alcoa a questo proposito, ma queste sono sempre state respinte da Bruxelles.
Dopo numerose richieste fatte anche al Governo Italiano, anche questo si è esposto in favore della riduzione del costo dell'energia a favore dell'Alcoa, ma l'Europa ha contiuato a seguire la sua linea di principio negando ogni genere di agevolazione all'azienda americana.
Per poter mantenere in piedi gli stabilimenti italiani il nostro Governo ha deciso di sostenere i costi dell'energia utilizzata dall'Alcoa, permettendo all'azienda di pagare l'energia allo stesso costo precedentemente accordato, e pagando la differenza coi soldi pubblici.
Dichiarata questa un'operazione illecita dall'Unione Europea, in quanto i soldi dello Stato Italiano non avrebbero dovuti essere spesi per aiutare un'azienda privata, l'Europa ha negato all'Italia di continuare a procedere in tal senso, così che l'Alcoa si è vista costretta a pagare l'intero ammontare dell'energia elettrica, vedendosi privata delle agevolazioni precedentemente ottenute e di cui ha goduto per dieci anni (tramite l'accordo) e altri 4 anni (con l'aiuto dei finanziamenti dello Stato Italiano).
Oggi l'Italia è impossibilitata (sebbene per la Fiat lo faccia da oltre vent'anni, nonostante le dichiarazioni sfavorevoli dell'UE) a continuare a finanziare l'Alcoa, che minaccia l'arresto imminente della produzione e l'eventuale chiusura definitiva degli stabilimenti in Italia nel momento in cui l'Europa non si ritenga disposta a compiere un passo indietro, e concederle l'agevolazione al costo dell'energia.

Questa è, riassunta in brevissimi termini, la vicenda che potrebbe portare alla disperazione migliaia di persone. Quante?
Si parla di 2.500 posti di lavoro, e quindi, ipoteticamente, 2.500 famiglie (sebbene non sia così, in quanto non tutti i lavoratori Alcoa ne possiedono una). Ma nessuno, NESSUNO, parla di coloro che non sono lavoratori Alcoa, ma che si ritroverebbero nella stessa condizione delle persone in questione.

Prendiamo l'esempio più eclatante fra i quattro stabilimenti Alcoa (Portovesme, Fusina, Milano e Modena): quello di Portovesme. Questa è la sede che sta facendo parlare di sé per via del sequestro, da parte di alcuni lavoratori Alcoa, dello stabilimento. Si continua a lavorare e quindi a produrre, ma l'Alcoa, visto che minaccia di cacciarli a breve, a causa di queste persone non potrà far fuoriuscire dal proprio stabilimento alcuna merce.

Noi lavoriamo, voi ci volete licenziare, e allora noi non vi facciamo guadagnare niente dal nostro lavoro.

Questa è la protesta di coloro che hanno proiettato il video su internet. Ma torniamo al nostro discorso.
Fra coloro che si ritroveranno per strada a causa della chiusura dell'Alcoa, ci sono:
1- gli operai delle aziende che producono l'alluminio, il quale non potrà più essere lavorato dall'Alcoa, e conseguentemente non avrà più nessuna utilità;
2- gli operai delle imprese d'appalto, che si prendono cura della manutenzione degli impiati Alcoa;
3- gli operai delle imprese di pulizia, che si occupano della pulizia degli impianti Alcoa;
4- le aziende di trasporti per le merci dirette da e verso gli stabilimenti Alcoa;
5- i lavoratori delle imprese alimentari, che forniscono alimenti e servizi mensa negli stabilimenti Alcoa.
Se ipotizziamo in media un quinto di lavoratori per ognuno di questo settore (calcolando 1.000 persone impegnate nella produzione dell'alluinio, 500 persone nelle imprese d'appalto, 500 nelle imprese di pulizia, e 500 fra addetti mensa, cuochi e addetti al trasporto merci), rispetto al totale dei lavoratori Alcoa, otteniamo altri 2.500 lavoratori privati di un'occupazione. Stiamo parlando, quindi, in maniera del tutto ipotetica - ripeto - di circa 5.000 persone senza un posto di lavoro. Il ché significa che ci saranno 4.000 famiglie senza un reddito.
Facendo un piccolo calcolo appossimativo guidato dalla logica, stiamo parlando di 15.000 persone prive di un reddito, e conseguentemente 15.000 clienti in meno per tutte le aziende di ogni settore esistenti nel territorio circostante. Si pensi a cosa accadrebbe privando i panifici, le edicole, i bar, i tabacchini, i negozi d'abbigliamento, i ristoranti, i supermercati, i centri commerciali di 15.000 clienti.
Le conseguenze economiche sarebbero disastrose per tutto il territorio. Solo le grandi città resisterebbero ad una catastrofe simile. Il crollo di un polo industriale come Portovesme, per esempio, sito in una zona della Sardegna poco abitata, e in cui funge da centro economico e base solida per gran parte delle famiglie del Sulcis Iglesiente (l'area sud-occidentale della Sardegna), porterebbe alla desertificazione dell'intero territorio, e alla costrizione, da parte dei cittadini, a dover emigrare in cerca di una nuova occupazione.
Ma ecco che ci si trova di fronte ad un nuovo problema: quanti, fra coloro che si ritroverebbero costretti a cercare un nuovo lavoro a causa della chiusura (oggi ipotetica, sebbene annunciata) dello stabilimento Alcoa, riuscirebbero a trovare una nuova occupazione in tempi più o meno brevi? Quanti, fra i 5.000 lavoratori privati del proprio stipendio ipotizzati prima, stanno per andare in pensione? Quanti ultra cinquantenni troviamo, fra questi? E - guardando l'altra faccia della medaglia - quante aziende sarebbero disposte ad assumere un lavoratore ultra cinquantenne (o ultra sessantenne, addirittura)?

E' vero; da un punto di vista economico, politico, aziendale, l'Alcoa aveva diritto a certe agevolazioni economiche fino al 2005.
E' vero; da un punto di vista sociale, l'Italia avrebbe dovuto negare il proprio aiuto all'azienda americana fin dal primo istante in cui l'accordo decennale era cessato;
E' vero; da un punto di vista eurpeo, l'Unione ha giustamente dichiarato illegittimo l'aiuto statale italiano rivolto all'azienda privata americana.

Ma se pensiamo agli anni di aiuti, sostenimenti, finanziamenti, agevolazioni date dall'Italia ad imprese come la Fiat, l'Alitalia, la Trenitalia, per poi funzionare nel modo in cui funzionano, allora anche eventuali agevolazioni distribuite agli stabilimenti Alcoa diverrebbero legittimi, se si trattasse di salvare 5.000 lavoratori (con relative famiglie al seguito).

La questione pare sia stata già esaminata in sede governativa, e il Ministro Scajola ha dichiarato che domani stesso ci sarà una riunione con i dirigenti Alcoa per discutere un'eventuale soluzione al problema. Ai Tg nazionali comunque (Tg1 e Tg2) è stato dichiarato che è stato scongiurato il pericolo di una chiusura imminente. Ma ora voglio porre una domanda: il Ministro Scajola, dopo aver promesso di incontrare gli operai Alcoa andati a manifestare a Cagliari e non essersi presentato, che credibilità vuole avere, nei confronti di persone che stanno per perdere il loro posto di lavoro, e che non saprebbero come portare avanti la loro famiglia? Siamo sicuri che non sia l'ennesima farsa del nostro Governo che miri solo ad acquietare gli animi, liberare lo stabilimento Alcoa di Portovesme dai ragazzi disperati che cercano solo di tenersi stretto il loro posto di lavoro?

La questione sarà oggetto di approfondimenti ed aggiornamenti in questo blog, che seguirà tutti i prossimi sviluppi della vicenda in maniera molto attenta.

13/11/09

Questione crocifissi: Stato e delinquenti contro l'Europa

Dopo la sentenza della Corte Europea dei Diritti dell'Uomo sulla rimozione dei crocifissi dalle aule delle scuole pubbliche, come si sa, lo Stato italiano ha avviato una campagna in controtendenza al resto delle nazioni europee, dichiarando il crocifisso come simbolo della tradizione e della storia cattolica italiana, e rendendo illegittima la dichiarazione della Corte Europea di Strasburgo.
Il Presidente del Consiglio Silvio Berlusconi, insieme a tutta la sua schiera politica, si è dichiarato decisamente contrariato dalla decisione presa in Europa, e ha annunciato pubblicamente che l'Italia non seguirà la direzione presa dal resto delle Nazioni europee. Insieme allo schieramento di Centro-Destra, ovviamente, troviamo il Vaticano, il quale persevera nel voler mettere un proprio parere in ciò che è italiano, ossia al di fuori dai propri confini.
Lo Stato laico-cattolico italiano si trova dunque nuovamente coinvolto in un problema che non riguarderebbe mai uno Stato semplicemente laico.
Sul fronte prettamente scolastico, il nostro Ministro all'Istruzione Mariastella Gelmini non ha perso tempo a presentare ricorso alla Corte Europea, mentre sui fronti politici in generale diverse sono state le reazioni. Come detto, la Destra e il Centro-Destra hanno utilizzato qualsiasi definizione dispregiativa esistente per descrivere la sentenza della Corte di Strasburgo, ma anche a Sinistra non si è scherzato: Pierluigi Bersani, leader del Partito Democratico, ha dichiarato che "su questioni delicate come questa, qualche volta il buonsenso finisce di essere vittima del diritto". Inoltre ha affermato che "un’antica tradizione come il crocifisso non può essere offensiva per nessuno". E la sua aassenza lo sarebbe?
La CEI non ha evitato di esporsi nei nostri giornali e nelle nostre TV nazionali, che sono state infestate dai pareri contrari a questa decisione da parte di religiosi, oltre che, come detto, di politici - ci tengo a ripeterlo - di entrambi gli schierameti parlametari.
In un clima di contestazione generale, quindi, in cui gli spazi d'espressione per coloro che approvano la laicità delle scuole italiane, la libertà ed il diritto di non essere obbligati ad avere di fronte il simbolo di una religione, questi spazi, dicevo, sono estremamente limitati se non addirittura inesistenti; in un clima in cui il Presidente del Consiglio dichiara pubblicamente che in Italia, nonostante la sentenza europea, i crocifissi resteranno appesi nelle aule delle scuole pubbliche; in un clima in cui il Vaticano interviene quotidianamente con le sue prediche illegittime (in quanto inerenti le scuole pubbliche di uno Stato laico come l'Italia), le conseguenze erano abbastanza ipotizzabili.
Ieri mattina i soliti idioti hanno cominciato con gi atti vandalico-minatori.
Sono già state ricevute, sia da parte del cittadino che presentò ricorso alla Corte di Strasburgo, sia da parte di alcuni membri dell'UAAR, che ha sostenuto questa causa, delle lettere minatorie ed irte di insulti.
Ieri mattina degli aderenti a Lotta Studentesca, gruppo vicino a Forza Nuova, ha fatto irruzione nella sede del Partito Radicale a Roma facendo scoppiare una bomba carta, lanciando volantini ed affiggendo tre crocifissi sul muro.
Ieri pomeriggio sulla porta della sede dell'UAAR di Treviso è stata trovata la scritta "la vostra ragione non cancellerà la nostra tradizione", e sul manifesto è stato appeso un crocifisso.

Lo Stato interverrà per fermare questi atti vandalici, o continuerà a fomentarli andando contro la laicità costituzionale?
Qualcuno cercherà di non far sfociare questi primi atti intimidatori in vere e proprie violenze, oppure il nostro Governo li sosterrà?
Il Vaticano sarà contrario alla violenza di questi facinorosi, oppure, visto il rischio di perdere un posto in prima fila nella vita dei nostri bambini, e quindi nel futuro dell'Italia, rinnegherà anche quel principio?

Cercheremo di seguire gli sviluppi di questo principio di rivolta portata avanti da persone che, nel 2009, pare non abbiano acquisito grandi sviluppi progressisti dai fanatici religiosi del XVII secolo.

03/11/09

23,5 miliardi di Euro di spese previste nel 2010 per l'esercito italiano: Lettera al Ministero della Difesa

Gentili signori,
la notizia che la previsione spese riguardanti la Difesa nel 2010 ammonti a 23,5 miliardi di Euro non può che lasciare perplesso ogni italiano, in un periodo in cui la gente resta aggrappata al proprio posto di lavoro con tutte le sue forze, per cercare di superare questo periodo difficile. Quando questa gente non è in cassa integrazione, ricevendo buste paga da 200 € mensili per mantenere una famiglia di quattro persone o, peggio che mai, ma purtroppo non sto parlando di asini volanti, quando non l'ha proprio perso, il suo posto.

In un periodo in cui vengono fatti dei tagli sull'istruuzione che obbligano miriadi di insegnanti a tornare a casa, dopo aver ambito per anni ad una cattedra, magari anche piccola, magari anche nelle scuole elementari del proprio paesello.
In un periodo in cui le aziende falliscono per non poter andare avanti, perché il lavoro è calato ed i contributi statali non sono sufficienti per coprire minimamente le spese da affrontare.
In un periodo in cui l'Italia subisce dei violenti danni al suo interno a causa di elementi esterni come il terremoto aquilano o l'alluvione messinese.
In un periodo come questo, il nostro paese è disposto a spendere 23,5 miliardi di Euro (il dato è stato riportato ieri, 2 Novembre, sul sito di Emergency che, a sua volta, riporta un articolo scritto da Vignarca e Paolicelli edito da Altreconomia) per mantenere un esercito in cui i comandanti sono più dei comandati. Riporto fedelmente i numeri annunciati da Emergency: in un esercito di 190 ila uomini compaiono 600 generali e ammiragli, 2.660 colonnelli e decine di migliaia di altri ufficiali, equipaggiati di mezzi costosissimi e di estrema avanguardia, come i nuovi sistemi d'arma della portaerei Cavour (1,4 miliardi di euro), le fregate Fremm (5,7 miliardi) e i 131 cacciabombardieri F-35 (13 miliardi).

I cittadini sanno di queste vostre spese; i cittadini sanno tutto.
Sappiamo che pur perdendo il posto di lavoro, il nostro Stato non ci diminuisce le tasse.
Sappiamo che seppur costretti a dover tirare la cinghia, il nostro Stato spende per il Quirinale 7 volte più di quanto la Regina d'Inghilterra non spenda per Buckingham Palace.
Sappiamo che anche se i nostri figli non possono godere di insegnanti specializzati perché per via della "crisi" sono stati fatti dei tagli sull'Istruzione (ed eliminati gli insegnanti specializzati), il nostro Stato mantiene felici le aziende che più gli fanno comodo, spendendo interi patrimoni in missioni per lo più fittizie.
Sappiamo, insomma, che anche se il popolo fatica ad andare avanti, il nostro Stato pensa al mantenimento dei pochi oligarchi che ci governano.

Non si può contiuare così, o lo si può fare ancora per poco. La cecità delle persone verrà meno, quando queste saranno costrette ad aprire gli occhi per poter sopravvivere.

Un saluto, nella speranza di una profonda meditazione sulla presenza, o meno, di giustizia nei confronti del Popolo nelle decisioni che prenderete in nostro nome.

Passaparola di Marco Travaglio

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